Ciao bella gente, vi racconto la prima parte della mia avventura nordica a Mannheim, in Germania.
Mannheim è una città di medie dimensioni che si affaccia sul Reno ed è attraversata dal fiume Nekar, possiede ottime infrastrutture, moltissime zone verdi e parchi naturali enormi. È costellata di street art di artisti internazionali che hanno dipinto le loro opere su svariati palazzi, donando un tocco eccentrico e stravagante alla città.
Qui è stata inventata la bicicletta e vi assicuro che non perdono occasione per ricordarvelo; ci sono più targhette commemorative che tombini, probabilmente è anche per questo motivo che comprare una bici da queste parti mi è costato uno sproposito.
Mannheim è una città universitaria e viene quindi data molta importanza alla formazione, ci sono moltissimi studentati moderni, confortevoli e attrezzatissimi ma essendomi mobilitato a cercarne uno troppo tardi li ho trovati tutti pieni e pertanto mi sono sistemato in un appartamento con altri cinque ragazzi.
Nonostante il periodo, l’accoglienza da parte dell’università è stata calorosa, ci hanno fatto fare il giro delle strutture, delle biblioteche e delle aule studio principali. I corsi purtroppo sono unicamente on-line a causa dell’emergenza sanitaria ma nonostante questo i docenti riescono a rendere le lezioni interattive e quanto più normali possibile.
L’università ha istituito un gruppo di ragazzi e ragazze che si occupano dell’intrattenimento degli studenti Erasmus proponendo attività, escursioni e feste di ogni genere. Purtroppo, a causa delle restrizioni non tutto è possibile da realizzare ma siamo riusciti in qualche modo a divertirci comunque.
Vi racconto ad esempio del “Wine hiking”, una pratica piuttosto comune da queste parti che rivela l’indole alcolica di questa nazione. Nello specifico, essa consiste in una passeggiata nei boschi sorseggiando vino misto ad acqua. Concordo che inizialmente non sembra l’idea del secolo, specialmente perché il sapore di quel vino ricorda vagamente il Cavalchina mazziano tuttavia, dopo le prime bottiglie inizi a riflettere sul fatto che tutto sommato non è così male. Il percorso è piuttosto impervio e il pezzo forte arriva quando a circa metà delle salite più faticose cominci ad intravedere la sagoma di San Crispino che ti porge la mano e ti dice che manca poco. In quel momento ti chiedi a cosa si riferisca quel “manca poco”, sarà l’arrivo a destinazione o l’entrata nel regno dei cieli? Non bisognerebbe bere mentre si cammina, ma vi assicuro che non ve ne pentirete.
L’impatto con la gente del posto è stato particolare, il popolo tedesco va capito e apprezzato, ci vuole tempo. Inizialmente ho trovato la popolazione abbastanza fredda e rigida rispetto a quella italiana. Probabilmente è anche una questione di lingua, molto dura e con pronunce vagamente aggressive, tant’è che quando vieni fermato per strada e qualcuno ti parla il primo istinto è consegnare telefono e portafoglio, dopo lo spavento iniziale capisci però che ti stanno solo chiedendo qualche indicazione o l’accendino.
Vengo sempre scambiato per uno del posto per cui “Ich spreche kein Deutsch” ovvero “io non parlo tedesco” è all’ordine del giorno. È anche divertente vedere come l’italiano medio venga considerato all’estero; per quanto uno si sforzi verrà sempre considerato alla stregua di Pio e Amedeo, probabilmente questo immaginario è stato corroborato dal fatto che gesticolo come un primate.
L’elemento nostro che colpisce in maggior misura è sicuramente la cucina, le volte che insieme ad amici italiani cuciniamo per gli altri sono infatti momenti di gloria e riconoscimento eterni.
La mia conoscenza della cultura culinaria tedesca si è limitata invece alla periodica visita da “Selman”, gran visir di tutti i kebabbari e luogo sacro di abbuffate leggendarie. La cucina tedesca non mi fa impazzire, tuttavia c’è una grande comunità turca qui a Mannheim e i ristoranti tipici sono veramente buoni.
Ho conosciuto tante persone da tutto il mondo e ripeterò quello che ogni studente partito per questa avventura dice: ti cambia la vita.
Penso che al di là dell’esperienza bella o brutta il fatto di adattarsi ed entrare in contatto con così tanta diversità ti faccia crescere e ti metta quotidianamente di fronte a sfide nuove al di fuori della propria comfort zone.
Cosa significa adattarsi?
Adattarsi significa tantissime cose, come parlare una lingua diversa da quella di casa, contare solo su te stesso, metterti in gioco, conoscere il diverso, metterci ore a fare la spesa perché ogni scritta in tedesco sembra una malattia infettiva rara e anche dare 150 euro alla commessa perché non hai idea di che prezzo abbia detto.
Scherzi a parte è un’esperienza unica e nonostante l’emergenza sanitaria ancora in corso, ne sta valendo la pena! Spero di vedervi tutti presto.
Un abbraccio, Michelangelo.
P.S: Non chiedete a dei francesi appena conosciuti perché non usano il bidet, si offendono!