
L’opportunità di studiare come studente fuorisede a Roma ha da sempre rappresentato per il sottoscritto una “medaglia alla fiducia” che la mia famiglia ha deciso di conferirmi. La faccia più splendente di questa medaglia sono sicuramente le possibilità educative e relazionali che ho avuto la fortuna di avere nel mio percorso accademico. La seconda faccia è quella caratterizzata, invece, dalle responsabilità e dalle aspettative che io stesso sentivo (e sento ancora) pesare sulle mie spalle. Proprio questo secondo lato mi ha da sempre portato a concepire i traguardi universitari esclusivamente in termini di esami sostenuti e di media raggiunta, piuttosto che di esperienze formative vissute. L’idea di partecipare al progetto Erasmus mi appariva perciò insensata, in quanto avrei potuto tranquillamente ottenere gli stessi risultati, nei termini precedentemente descritti, rimanendo a Roma e, dunque, in maniera più agevole. In seguito, parlando con amici già con le valigie pronte, mi sono incuriosito maggiormente e ho deciso di partecipare al bando Erasmus, seppur non capissi ancora cosa gli altri vedevano di così speciale in tale progetto. Dopo essermi confrontato con diversi studenti e aver ricevuto esclusivamente riscontri positivi ho deciso in maniera definitiva di testare in prima persona quanto avevo, fino ad allora, esclusivamente ascoltato.
A settembre sono partito per Barcellona, pronto a trascorrere quattro mesi nell’Universitat Pompeu Fabra (UPF), eccellente tra le università spagnole nelle materie economiche ed econometriche. Il campus dedicato alle discipline economico-giuridiche è il Campus De La Ciutadella, vicino all’omonimo Parc de La Ciutadella, situato nei pressi della Barceloneta. Qui ho avuto modo di seguire cinque corsi di cui due più tradizionali (Marketing e Financial Management) e alcuni più caratteristici (Entrepreneurship and Innovation in the Third Social Sector, Psychology and Business e Business Games). L’università organizza ogni anno accademico in tre trimestri e gli studenti, in genere, distribuiscono gli esami nel loro piano formativo in modo da averne massimo tre per trimestre. Molti studenti catalani sono, infatti, rimasti meravigliati dal fatto che sostenessi cinque corsi contemporaneamente, ma tale esigenza era dovuta ai criteri di conversione italiani: il valore di ogni esame nella UPF è pari a 5 ECTS (equivalente a 5 CFU italiani), pertanto, affinché potessi convertire quattro esami in Italia dovevo necessariamente superare cinque corsi catalani a causa del loro “peso” inferiore.
La conseguenza principale di questa scelta è stata un forte carico settimanale di lavori di gruppo e di studio che mi ha portato a vivere più intensamente l’università rispetto a quanto facessi prima. Se in Italia ero abituato a partecipare alle lezioni che ritenevo necessarie e a fondare la mia preparazione per la maggior parte sullo studio individuale, in questi mesi mi sono visto costretto a stravolgere queste abitudini. Fatta eccezione per i corsi più tradizionali già menzionati che prevedevano pochissime prove parziali, i rimanenti tre fondavano quasi interamente la valutazione su quanto svolto nel trimestre. Progetti di gruppo, dibattiti in aula, presentazione di report erano presenti ogni settimana di lezione impedendo agli studenti di selezionare quali corsi frequentare e richiedendo uno studio delle materie sin dai primi giorni. Per rendere l’idea è possibile paragonare questi mesi al pari dell’ambiente lavorativo, seppur con un tocco più accademico: trascorrevo quasi ogni giorno infrasettimanale dalle nove di mattina fino alle cinque di pomeriggio in università.
La mia intenzione non è però quella di porre un’accezione negativa su ciò in quanto sicuramente l’impiego in termini di energie è evidente, seppur i pregi siano numerosi: in primo luogo si ha l’opportunità di praticare quotidianamente l’uso di altre lingue e di apprendere un vocabolario tecnico connesso alle materie studiate (ciò ha rappresentato una novità per il sottoscritto abituato ad avere corsi esclusivamente in italiano); in secondo luogo vi è la possibilità di conoscere numerosi studenti di altre nazioni e di entrare in contatto con le loro culture in maniera del tutto naturale (tra i miei obiettivi vi era anche quello di tornare in Italia con la rubrica piena di contatti di ragazzi di tutto il mondo) ; infine, l’apprendimento avviene quasi del tutto sul campo e ciò ha rappresentato una sostanziale novità almeno nel mio caso, permettendomi di scoprire le materie in modalità alternative e di apprendere in maniera interattiva.
In aggiunta, Barcellona è una città meravigliosamente dinamica grazie al suo tempo mite, dove non si può fare a meno di uscire: sia di mattina, sia di pomeriggio e di sera c’è sempre un’attività ad attenderti. Sono un ragazzo che ama lo sport e tra attrezzature pubbliche di allenamento, running club e palestre ho praticamente visitato quasi tutta Barcellona. Questo ambiente di positività mi ha spronato a vivere intensamente questi pochi mesi che sono passati via in men che non si dica. Se inizialmente non avevo intenzione di partire, ora trovo difficile andarmene.
L’obiettivo principale dell’università è quello sicuramente di istruire e di formare gli individui, ma queste parole non vanno interpretate in senso stretto. L’università è quotidianità, amicizie, lezioni di vita e opportunità di crescita. Per questo mi sento di consigliare di partecipare al progetto Erasmus essendo lo stesso da una parte una preziosa occasione di crescita personale per evadere gli schemi della quotidianità e dall’altra un’alternativa per sperimentare nuove realtà, culture e tradizioni. La mia relazione è stata volutamente impostata sulle peripezie decisionali che ho dovuto affrontare, in quanto immagino che dall’altra parte ci siano studenti che stiano raccogliendo quante più informazioni possibili per decidere se partire o meno. Spero di esservi stato di aiuto nel mio piccolo in questo senso.
Riccardo Bascelli