
Chers amies et amis,
Sto per giungere al termine della mia seconda esperienza in Erasmus e, se da una parte vorrei durasse ancora per molto, dall’altra ho anche voglia di tornare a Padova e di iniziare una nuova avventura al Job!
Mi trovo in una minuscola cittadina del Belgio, a un’oretta di treno da Bruxelles (motivo per il quale trascorro quasi ogni weekend nella capitale europea), che si chiama Louvain-la-Neuve. Il nome di per sé dice già tutto di questo posto molto particolare che sembra più un campus universitario che una vera e propria città!
Piccola premessa: come la maggior parte di voi saprà, il Belgio è diviso in due regioni. In quella fiamminga, a nord, si parla olandese (circa il 60% della popolazione), mentre nella regione della Vallonia la lingua ufficiale è il francese. Poi c’è anche una minoranza tedesca (e tanti italiani sparsi) ma questo non è troppo rilevante per la nostra storia!
In breve, la nascita della mia città deriva proprio da questa differenza linguistica che è da sempre motivo di conflitti e che, nel 1967-68, è sfociata in quello che è definito il “Caso Lovanio”.
In poche parole, si tratta della richiesta, da parte degli studenti fiamminghi, di chiudere la sezione francofona dell’Università Cattolica di Leuven situata nelle Fiandre. A questa pretesa, gli universitari francesi hanno risposto creando una propria sede distaccata in Vallonia, dal nome, per l’appunto: Lovanio-la-nuova.
Da qui si capisce perché si tratti di una città in cui tutto ruota intorno ed è a misura di studente: dai prezzi dei panini (e delle birre) alle feste più pazze che abbia mai visto!
Costruita nel 1970, Louvain-la-neuve è la città più giovane del Belgio. Tra i suoi pregi: il fatto di avere un’Università di fama internazionale e che accoglie studenti da tutto il mondo, un centro città interamente pedonale e ciclabile (le macchine corrono e vengono parcheggiate solo sotto terra), e, la mia parte preferita, un laghetto lungo il quale fare bellissime passeggiate tra una lezione e l’altra.
L’Université Catholique de Louvain mi ha permesso di studiare con un approccio molto diverso da quello a cui ero abituata: non solo teorico e fatto di lezioni frontali, ma anche applicativo e di lavori di gruppo. Ho anche potuto migliorare la padronanza del francese grazie a corsi di lingua e ad un tavolo di conversazione organizzato ogni mercoledì da un Kot à Projet (KAP). Questa particolare organizzazione mi ha ricordato molto le commissioni del collegio perché si tratta di appartamenti di 12 studenti che hanno un interesse/passione comune e che, durante l’anno, organizzano eventi, conferenze e incontri sul tema. Esistono: il kap delice, il kap tech, il kap vert, l’inclukap e così via.
Un altro aspetto che mi ha ricordato la mia esperienza in collegio è la goliardia che qui è vissuta in modo molto intenso (per non dire esagerato), attraverso riti di iniziazione segreti e apparentemente molto ardui da superare (serve un fegato di ferro!).
Tra gli aspetti negativi c’è il fatto che, essendo una città di così recente costruzione, non ospita elementi storici e artistici importanti e che gli edifici, in mattoni rossi tutti uguali, sembrano quelli di un parco a tema! Inoltre, la sua cucina non è troppo originale e sana poiché, come in tutto il resto del Belgio, i piatti tipici sono: patatine fritte, waffles (che qui si chiamano gaufre), cioccolato e birra… ma direi che poteva andare molto peggio!
Infine, la sfida più ardua che sto affrontando, è abituarmi ad un cielo sempre grigio, alla pioggia un giorno sì e uno sì e a non ricordarmi più come sia fatto il sole: mi avevano detto che sarebbe stata dura vederlo, ma non pensavo così tanto!
Ciò che, invece, è senza dubbio un vantaggio di questa meta è la posizione. Infatti, ho già potuto visitare agevolmente quasi tutto il Belgio, ma anche il Lussemburgo e le città più importanti d’Olanda… a fine gennaio, dopo gli esami, è previsto anche un tour in Francia per finire in bellezza! Altro elemento, per niente scontato e da sottovalutare, è l’arricchimento culturale e relazionale che quest’esperienza mi sta dando. Ho conosciuto persone dall’Honduras, dal Messico e dalla Colombia, così come i più vicini portoghesi, svedesi e svizzeri. Mi sono imbattuta anche in qualche compatriota che ha condiviso con me difficoltà e conquiste di questo viaggio.
Se c’è una cosa che ci tengo particolarmente a sottolineare, è però, che si tratta di un’esperienza (esattamente come tutte le altre della vita) che è fatta di contrasti a volte stridenti e che non è sempre “tutta rose e fiori” come si potrebbe pensare guardandola da fuori. Ci sono le difficoltà di adattarsi ad un ambiente completamente diverso dal proprio, c’è la nostalgia e la metereopatia, ci sono momenti di solitudine e sconforto, c’è la paura, soprattutto in questo periodo, di ammalarsi e non sapere a chi rivolgersi.
Ma ci sono anche persone con cui condividere tutto questo e con le quali aiutarsi reciprocamente. Forse proprio per questo, i rapporti che si creano con chi si incontra, sono spesso così autentici e forti: perché nascono dalla necessità e dal bisogno, ma si costruiscono nel donare sostegno e nel condividere emozioni. E poi c’è quel senso di libertà, spensieratezza e arricchimento costante che, per la mia esperienza, ripaga tutte le difficoltà. E’ come vivere una vita a velocità raddoppiata per il numero di stimoli, la portata delle conversazioni e le nuove scoperte che si fanno ogni giorno. Quindi, credo sia proprio per questo – per il bello e il brutto, ma entrambi vissuti all’ennesima potenza – che, inevitabilmente, l’Erasmus cambia e segna così tanto.
E, dunque come dice l’inno (studentesco) della città:
“Louvain-la-Neuve
Tu ne dors jamais la nuit
Tu me fais chanter
Sans m’arrêter..
..On fête toute l’année
Parfois on pleure en juin
Mais non jamais,
jamais je ne t’oublierai!”
A presto, Sara