
Da tempo sognavo l’Erasmus – precisamente dall’esperienza liceale fatta in Canada, dove ho avuto l’opportunità di studiare il primo trimestre del quarto anno. Il Canada mi aveva dato molto: un’occasione per esercitare (e migliorare) il mio inglese, la possibilità di conoscere nuovi paesaggi e nuove abitudini, di sperimentare una nuova scuola e circondarmi di molti amici. Forte di questa felice esperienza, lo scorso ottobre non vedevo l’ora di arrivare ad Heidelberg, sicura della grande ricchezza che la città e l’ambiente avrebbero potuto offrirmi.
Oggi, a quattro mesi dal mio arrivo, posso confermare che l’Erasmus si è rivelato (e si sta rivelando) all’altezza delle aspettative. La città è molto graziosa: il centro storico, raccolto, segue le sinuosità del Neckar, scendendo dalla collina dove svetta invece il grande castello, simbolo cuore di Heidelberg – di notte è illuminato, e la sua visione mentre si passeggia lungo il fiume o si attraversa il Ponte Vecchio è molto suggestiva.
Proprio nel centro storico sono situate anche l’università e la biblioteca, che ho avuto modo di conoscere e vivere nella mia quotidianità. La biblioteca, in particolare, è uno dei motivi per cui ho scelto la città di Heidelberg come meta Erasmus: la sua storia, la quantità e la ricchezza di manoscritti lì conservati e la sua indiscutibile rilevanza per gli studi umanistici e letterari ne hanno a ragione esaltato la fama – più di una volta, durante il mio percorso universitario e liceale, ho avuto infatti a che fare con codici e testi della Biblioteca Palatina. La biblioteca non è però solo un celebre monumento storico: è anche un ambiente vivace, sempre aperto e sempre pieno di studenti. Alle aree antiche si aggiungono infatti spazi nuovi, ampi e luminosi, dove è possibile studiare con tutti gli agi e le comodità (per non parlare, poi, delle aule riservate ai gruppi di studio, degli armadietti personali, dei computer a disposizione, della caffetteria…). – Una meravigliosa sorpresa.
A sorprendermi è stato anche l’ambiente universitario, in particolare l’organizzazione di corsi e lezioni. Ero molto curiosa di conoscere nuove realtà accademiche, di uscire dalle dinamiche ormai note dell’Università di Padova per sperimentare nuovi modi di fare lezione. Le differenze, effettivamente, ci sono. Tralasciando dettagli minori, ciò che più mi ha colpito è l’estrema interattività dei corsi: gli studenti sono chiamati a partecipare attivamente durante la lezione, che spesso acquisisce così la forma di vero e proprio dialogo. Sicuramente è più stimolante di una classica lezione frontale,
ma il rischio di divagare o di focalizzarsi troppo su opinioni e meno su fatti concreti e oggettivi è, a mio avviso, alto. Sono però felice dell’esperienza, che mi ha dato e insegnato tanto, facendomi soprattutto notare e meglio comprendere le criticità e le potenzialità delle lezioni patavine, che prima rappresentavano il mio unico metro di giudizio. Heidelberg è stata (ed è tuttora) anche fondamentale opportunità per approfondire la mia conoscenza del tedesco. Il mio livello linguistico, appena arrivata lo scorso ottobre, era B1 – avevo sostenuto l’esame giusto un paio di settimane prima di partire, dopo aver seguito con l’appoggio del Collegio Mazza i corsi offerti dal Goethe-Institut. Il B1 non è certo un livello alto, ma comunque sufficiente per permettere una certa indipendenza (e non dover quindi passare all’inglese).
Grazie al fatto di seguire corsi solo in lingua tedesca e, forse ancora più rivelante, di aver conosciuto persone con cui quotidianamente parlo in tedesco, la mia competenza linguistica è decisamente migliorata. Ritengo questo uno dei migliori traguardi da raggiungere: ci tengo infatti moltissimo al tedesco, vista anche l’importanza che questa lingua ricopre per gli studi umanistici.
Se finora mi sono abbandonata a lodare Heidelberg e il mio Erasmus, per rafforzare la credibilità delle mie parole – dimostrando di essere assolutamente sincera e attendibile – dovrò di necessità dedicare ora qualche riga alle criticità che ho incontrato. Non ce ne sono molte, solo una (ma sufficientemente grande da occupare l’eventuale spazio per altre minori): mi riferisco all’alloggio.
Heidelberg offre un importante centro universitario, ma è tanto celebre quanto piccola, e questo significa che trovare casa è un’impresa complessa e spesso deludente. In linea teorica, essendo una studentessa Erasmus, avrebbe dovuto essere l’Università di Heidelberg a fornirmi un posto dove vivere, ma la verità è che la domanda era così alta rispetto all’offerta, che alla fine mi sono dovuta arrangiare da sola – e non auguro a nessuno di dover cercare casa all’estero mentre si è ancora in Italia, senza possibilità di vedere di persona gli alloggi, di poter parlare con i proprietari e di conoscere davvero come funziona il mercato immobiliare di un altro Stato.
Dopo un paio di mesi di incessante ricerca, quasi a ridosso della partenza per l’Erasmus ho firmato a malincuore un contratto, accettando di vivere sei mesi nella residenza universitaria Heinrich-Fuchs-Straße 44, a una trentina minuti dal centro (viaggiando con il tram). Il problema di quest’alloggio non è assolutamente la distanza dall’università: è l’alloggio in sé il problema. Mi limiterò a una veloce descrizione: la camera non è male, ma ho dovuto comprarmi il materasso (l’alternativa era portarmelo da casa!). Ci sono in tutto sei bagni, uno per piano: un po’ pochi, considerando che nella residenza abitano circa sessanta persone (senza contare il fatto che, per i lavori in corso, per più di un mese solo la metà dei bagni è stata agibile!). Una delle chicche è poi la doccia: ogni piano ha una stanza apposita per le docce, vicina al bagno ma separata. Per potersi lavare bisogna pagare il gettone-doccia (!), dal valore di un euro, che permette all’acqua di scorrere per circa 5-8 minuti (tempo senz’altro sufficiente, ma comunque ansiogeno). Ci sarebbe anche una cucina per piano, ma definirla cucina è indubbiamente un’esagerazione: ci sono solo un piano cottura a quattro fornelli, un lavello e molti scaffali vuoti (da riempire con utensili e stoviglie comprati a proprie spese). Manca un tavolo, che sarebbe comunque impossibile da aggiungere per mancanza di spazio: si mangia infatti ognuno nella propria camera, alla scrivania. Da ultimo: al mese si pagano 495€.
La cosa più triste, al di là degli evidenti disagi di questo alloggio, è la totale mancanza di comunità. E ciò non è tanto dovuto alle persone che vi abitano, quanto piuttosto alla struttura fisica dell’edificio, assolutamente priva di aree comuni (la cucina è troppo piccola, e i bagni e le docce non sono forse il luogo più indicato per fare amicizia…). Non mi aspettavo certo una realtà collegiale come il Mazza, ma nemmeno di trovarmi ad essere sola, pur in mezzo a molte altre persone. Non nascondo che le prime due settimane sono state difficili, ma poi, grazie in particolare alle attività organizzate dall’Università per gli studenti internazionali, ho avuto modo di conoscere molte persone e stringere legami importanti e profondi – in particolare ho conosciuto Diyar, che spesso mi ospita a casa sua, non facendomi mai mancare un letto caldo e una doccia gratis!
Con l’alloggio sono stata sfortunata: non lo nego e non ho intenzione di mitigarne la descrizione, eppure ribadisco che l’Erasmus è stata una scelta meravigliosa, che rifarei ancora e ancora. Ne è valsa la pena, e ne vale tuttora la pena. Un’esperienza impagabile, arricchente nelle cose belle e maestra nelle difficoltà.
Selene Vaona